Le novità sulla tassazione del Bitcoin in Italia

Alla fine lo hanno fatto: novità sulla tassazione del Bitcoin, alcune specifiche disposizioni fiscali sulle criptovalute sono state inserite nel disegno di legge di bilancio approvato nei giorni scorsi dal Consiglio dei ministri italiano.

Cinque articoli, dal 30 al 34, piuttosto densi e, soprattutto per chi non lo sapesse, di non facile lettura, perché la tecnica impiegata è quella di una serie di rimandi e inserimenti a disposizioni tributarie preesistenti che vengono modificate o sostituite. Ciò comporta la necessità di un lavoro di collage.

È forse a causa di questa complessità, unita all'entusiasmo di battere tutti sul tempo con commenti immediati, ma superficiali, che diversi organi di stampa online sono caduti in errori grossolani, come diffondere la notizia che la tassazione delle plusvalenze al 14% avrebbe essere fornito.

Proviamo a mettere le cose in chiaro passando in rassegna le principali questioni affrontate dal disegno di legge. Ed è bene ricordare che si tratta pur sempre di un disegno di legge (DDL), il che significa che bisognerà attendere l'esito dell'iter parlamentare e la promulgazione del testo definitivo della legge per avere certezze su quanto sarà la formulazione effettiva delle regole.

La tassazione delle plusvalenze

Il disegno di legge stabilisce che le plusvalenze derivanti da transazioni in criptovalute rientrino nel campo delle rendite varie e che, a piena attuazione, saranno soggette a un'aliquota fiscale del 26%, ove superino una soglia che nel disegno di legge sembra provvisoriamente indicato in 2,000 euro e che potrebbe essere oggetto di specifica discussione in parlamento.

Ciò si ottiene innanzitutto attraverso una modifica dell'art. 67 del TUIR (Testo unico delle imposte dirette) e l'introduzione al comma 1 della lettera c) sexies, che comprende le operazioni su qualsiasi "cripto-asset, comunque denominati, archiviati elettronicamente o scambiati su tecnologie di registro distribuito o tecnologie equivalenti".

La portata di questa definizione (e quindi l'ambito di applicazione della norma) potrebbe essere molto dibattuta, e anzi potrebbero sorgere in futuro disaccordi significativi nel determinare se le disposizioni fiscali contenute nel disegno di legge debbano o meno applicare determinate tipologie specifiche di crypto asset . 

Per ora, però, concentriamoci sulla questione centrale, che è quella dell'applicazione dell'aliquota del 26%. Il meccanismo è quello di prevedere un'estensione anche a quelli che il DDL chiama cripto-beni dell'imposta sostitutiva già prevista dall'art. 5 co. 2 del D.Lgs. 461/1997 per altre forme di proventi vari quali, appunto, le plusvalenze maturate da operazioni in valuta. Nota bene: la norma, così come è formulata ancora oggi, indica un tasso del 12.50%. Tuttavia tale aliquota è stata successivamente portata al 26% dal DL 66/2014.

 

Un punto cruciale della disposizione introdotta dall'art. 30 co. 1 del DDL è quello “plusvalenze e altri proventi realizzati mediante riscatto o cessione a titolo oneroso, scambio o detenzione di cripto-asset” costituiscono oggetto di imposizione.

Lo stesso provvedimento lo precisa “lo scambio tra cripto-asset aventi le stesse caratteristiche e funzioni”.

Ora, il riferimento a mere operazioni di holding e scambio può suscitare dubbi e qualche perplessità.

Innanzitutto, non è molto chiaro come la mera detenzione di cripto-asset possa generare plusvalenze o altre forme di reddito.

Soprattutto, laddove la norma preveda che le operazioni di scambio genererebbero materia imponibile a meno che non avvengano tra cripto-asset aventi le stesse caratteristiche e funzioni, diventa determinante stabilire cosa si debba intendere per cripto-asset “aventi le stesse caratteristiche e funzioni”.

Ad esempio, non c'è dubbio che uno scambio di Bitcoin per Ethereum o un'altra criptovaluta bidirezionale è uno scambio tra cripto-asset aventi la stessa funzione (ovvero, servire essenzialmente come mezzo di pagamento). Tuttavia, può dar luogo a infinite disquisizioni sul fatto che anche tali cripto-asset abbiano o meno le stesse caratteristiche.

Comunque sia, dubbi a parte, la strada da percorrere sul meccanismo di tassazione dei redditi generati dalle transazioni in crypto asset sembra ormai tracciata.

Vale la pena notare che sembra mirare alla massima ampiezza di applicazione nella sfera delle criptovalute.

Per una cosa, NFTs sembrano avere tutte le caratteristiche per rientrare nel perimetro di a "cripto-asset, comunque denominato, archiviato elettronicamente o scambiato su un libro mastro distribuito o tecnologie equivalenti".

Questo ci porta ad altri tipi di valutazioni, non propriamente di natura giuridica, sull'opportunità o meno di mettere sullo stesso piano cripto-asset come le criptovalute con mera funzione di mezzo di pagamento con gli NFT e l'infinita quantità di token che assolvono scopi e funzioni completamente diverse e non sono ontologicamente assimilabili a beni di natura anche lontanamente finanziaria.

Una discussione che, con ogni probabilità, non mancherà di essere avviata.

Requisiti di monitoraggio. Il modulo RW

Non mancano disposizioni nel DDL che colpiscono un'altra tipica bestia nera per i crypto trader: quella degli obblighi di monitoraggio e quindi di dichiarazione nel famigerato modulo RW.

I commi 19, 20 e 21 dell'art. 30 del DDL, infatti, mirano ad apportare alcune modifiche alle disposizioni dettate dal DL 167/1990 conv. nella L. 227/1990.

In particolare, il comma 21 dell'art. 30 del DDL modifica e amplia gli obblighi dichiarativi previsti dall'art. 4 co 1 del DL 167/1990 e stabilisce che sono soggette a dichiarazione (nel modello RW) non solo le attività estere di natura finanziaria ma anche le cripto-attività.

La norma verrebbe così modificata:

“Le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate […], residenti in Italia che, nel periodo d'imposta, detengono partecipazioni all'estero, di attività estere di natura finanziaria o cripto-attività, atte a produrre reddito imponibile in Italia, devono indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi. Sono altresì tenuti agli obblighi dichiarativi i soggetti indicati nel periodo precedente che, pur non essendo proprietari diretti degli investimenti esteri, delle attività estere di natura finanziaria e delle cripto-attività.

Ora, per come è scritto il provvedimento, sembrerebbe che l'obbligo di dichiarazione colpisca indistintamente tutti i cripto-asset, a prescindere da qualsiasi questione circa l'effettiva ubicazione della loro detenzione, in Italia o all'estero.

Torna, inoltre, la questione di una corretta definizione e perimetro dei cryptoasset rilevanti ai fini degli adempimenti fiscali: la modalità di scrittura del provvedimento, la detenzione di eventuali cryptoasset, siano essi NFT o token anche privi di qualsiasi funzione o natura finanziaria, rischia di far scattare l'obbligo di dichiarazione.

Un obbligo che appare sproporzionato su cui è prevedibile che si scateneranno interminabili discussioni e contenziosi.  

La regolarizzazione del passato

Un'altra importante area del pacchetto di disposizioni contenute nel Ddl è quella che mira a fornire una sistemazione sul fronte dei rapporti e delle situazioni pregresse.

Se ne occupano gli articoli 32 (rideterminazione del valore delle cripto-attività) e 33 (regolarizzazione delle cripto-attività).

In estrema sintesi, l'articolo 32 consente a chi detiene cripto-asset a partire dal 1° gennaio 2023, di applicare come base di calcolo per la determinazione delle eventuali plusvalenze o minusvalenze maturate, non il costo o il valore di acquisto, ma il valore determinato secondo le modalità previste dall'articolo 9 del d.lgs TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). Tale possibilità è però subordinata al pagamento di un'imposta sostitutiva del 14% entro il 30 giugno 2023, eventualmente rateizzabile.

L'articolo 33 del DDL, invece, consente a coloro che non hanno dichiarato redditi da cripto-asset detenuti entro il 31 dicembre 2021 di presentare apposita dichiarazione, al fine di emergere dal patrimonio. A seconda che il reddito sia maturato o meno, il contribuente sarà tenuto al pagamento delle sole sanzioni per la mancata dichiarazione nel modello RW in misura ridotta pari a 0.5 per ciascun anno sul valore dei cripto-asset non dichiarati o (nel caso in cui il reddito maturato) anche un'imposta sostitutiva pari al 3.5% del valore dei cripto-asset detenuti alla fine di ogni anno o al momento in cui avrebbe dovuto disporne.

Il tutto dovrà avvenire nei modi e nei termini che verranno stabiliti con apposito provvedimento del capo dell'Agenzia delle Entrate italiana.

Inoltre, la stessa disposizione specifica al comma 4 che sarà necessario provare la liceità della provenienza delle somme investite.

Il che, ovviamente, apre un mare magnum sulla questione di come verrà dimostrata la liceità della fonte che può ritenersi idonea, visto che il Ddl non ne parla affatto.

La quota di iscrizione

Infine, l'articolo 34 introduce l'inedita imposta di bollo, applicata alle comunicazioni periodiche alla clientela, esattamente come avviene per i prodotti finanziari, e un'imposta sostitutiva del 2 per mille, a partire dal 2023, su chi detiene criptovalute e risiedere in Italia.

Conclusioni

Riassumendo, in prima analisi, il DDL presenta indiscutibilmente degli aspetti positivi: il fatto che un governo abbia finalmente assunto un ruolo attivo nel tentare un inquadramento sistematico degli aspetti fiscali delle criptovalute, nonché il tentativo di fare luce su situazioni passate .

Tuttavia, resta il fatto che vi sono ancora molte aree che devono essere definite in modo più chiaro e che occorre compiere maggiori sforzi a livello di definizione.

Alcune scelte, sul piano dell'indirizzo normativo, appaiono estremamente discutibili: il fatto che il trattamento fiscale delineato non tenga affatto conto della natura funzionale dei beni e, soprattutto, la scelta draconiana di applicare obblighi di vigilanza alla detenzione dei beni , indiscriminatamente, di qualsiasi natura esse siano e indipendentemente da qualsiasi criterio ragionevole per identificare le attività che possono effettivamente qualificarsi come estere rispetto a quelle che non lo sono, lascia molto perplessi.

Ovviamente questi dubbi stanno nel mezzo, tra il quadro iniziale e quelli che saranno i punti di arrivo a seguito dell'iter parlamentare, che però si preannuncia incalzante, e fa pensare che ci possa essere poco spazio di discussione su le questioni specifiche relative alle criptovalute.

Non resta che attendere e sperare che il legislatore abbia la necessaria sensibilità e capacità di ascolto di chi porta competenze specifiche nel mondo crypto, e non solo verso motivi di cassa, vuoti come sempre. 

Fonte: https://en.cryptonomist.ch/2022/11/25/the-news-on-bitcoin-taxation-in-italy/