Criptatassazione: la nuova legge di Bilancio

Una vera e propria maratona in cui non sono mancati gli ostacoli, anche di natura procedurale nel percorso di approvazione, dovuti per lo più a scaramucce in aula tra le forze politiche all'opposizione e quelle al governo: ecco le ultime sulla tassazione delle crypto in Italia. 

Come previsto, la versione finale approvata del testo non si discosta molto dal testo di partenza. La manovra, invece, è stata blindata con l'imposizione della fiducia, per riuscire a tagliare il traguardo entro fine dicembre e scongiurare così lo spettro dell'esercitazione provvisoria.

Si tratta di una manovra in cui le misure fiscali sono al centro dell'attenzione e, per la parte che riguarda utenti e operatori del mondo delle criptovalute, per la prima volta vedono la luce disposizioni fiscali espressamente dedicate a quelli che vengono definiti “cripto-asset” nel diritto e di cui abbiamo ampiamente anticipato in queste colonne.

Le disposizioni sono state riunite nei commi da 126 a 144 dell'articolo 1 della legge 197/2022.

Per quanto riguarda la mondo cripto L'aspetto centrale risiede nella creazione di una tipologia ad hoc di redditi da plusvalenze da transazioni di cripto-asset all'interno della più ampia categoria dei redditi vari.

Rispetto a tale tipologia di reddito, a Imposta sostitutiva del 26%. che scatta al momento della maturazione di plusvalenze superiori a 2,000.00 euro.

Per il passato, la norma prevede che eventuali proventi conseguiti da operazioni in cripto-asset rientrino nell'ambito dei cosiddetti redditi diversi (art. 67 TUIR), quindi soggetti all'imposta sostitutiva come precedentemente disciplinato. Cioè ancora il 26% sulle plusvalenze, che scatta solo in caso di detenzione di asset il cui controvalore superi la soglia di 51,645.68 euro per sette giorni lavorativi consecutivi.

Altro principio che è stato sancito nella legge di bilancio è l'obbligo di dichiarare i cripto-asset ai fini del monitoraggio dei patrimoni esteri, e quindi la loro inclusione nel famoso modulo RW della dichiarazione dei redditi.

Vi sono poi una serie di provvedimenti volti all'emersione degli asset crypto-asset detenuti e a rimediare alla mancata dichiarazione nel modulo RW in passato.

Come già scritto nelle scorse settimane, questa legge presenta vantaggi e svantaggi.

È sicuramente positivo che si sia aperta la strada per una regolamentazione esplicita degli aspetti fiscali che interessano le transazioni in criptovalute e, più in generale, i vari crypto asset.

In questo modo, se non altro, può esserci un minimo di ulteriore chiarezza e consapevolezza per i contribuenti e qualche freno alle interpretazioni troppo spesso arbitrarie e contraddittorie degli uffici finanziari.

D'altra parte, sono ancora tanti, troppi, gli aspetti che questa legge lascia irrisolti.

E mentre (come è evidente) uno degli obiettivi primari che il legislatore intendeva perseguire era l'emersione di materia imponibile legata al mondo crypto, per come è scritta questa legge, non è detto che tale obiettivo venga raggiunto.

Vediamo perché.

Limiti e infrastruttura della nuova tassazione crypto

In primo luogo, alla base dei vari adempimenti fiscali previsti dalla nuova legge c'è il concetto di “cripto-asset”. Non si fa cioè ricorso al concetto di “moneta virtuale” così come definito dalla normativa antiriciclaggio (D.Lgs. 231/2007).

Secondo la legge appena approvata:

"Il termine 'risorse crittografiche' indica una rappresentazione digitale di valore o diritti che possono essere trasferiti e archiviati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o una tecnologia simile."

Se la definizione contenuta nella normativa antiriciclaggio era già eccessivamente ampia, anche rispetto alle definizioni stabilite a livello europeo, il nuovo concetto introdotto di “cripto-asset” finisce per assoggettare alla stessa imposta qualsiasi tipo di bene, bene immateriale o applicazione trattamento, semplicemente perché si basano su tecnologie di contabilità distribuita.

In altre parole, i regolamenti non tengono conto delle differenze di funzione delle (molte) diverse tipologie di criptovalute.

Così, ad esempio, la detenzione e rivendita di un NFT che rappresenta un'opera d'arte dal punto di vista fiscale finisce per essere regolata esattamente allo stesso modo della detenzione e rivendita di una criptovaluta che ha la funzione di mezzo di pagamento: quindi potenzialmente soggetti all'imposta sostitutiva e risultando soggetti ai medesimi obblighi di comunicazione nel modello RW.

Qualora l'artista che l'ha creata scegliesse di realizzare la stessa opera d'arte in forma fisica, anziché in forma digitale su un file crittografico non fungibile, chi ne diventasse proprietario sarebbe soggetto a obblighi completamente diversi: nessuna imposta sostitutiva sulle plusvalenze; nessuna dichiarazione nel modello RW (se l'opera rimane fisicamente in Italia).

Un problema strettamente connesso all'introduzione della nuova imposta sostitutiva (che ricalca in gran parte lo schema dell'imposta sostitutiva sulle plusvalenze e sulle valute estere) è che rimane sempre laborioso e discutibile determinare la base di calcolo su cui determinare il valore di realizzo differenziale per determinare se e di quanto è stata realizzata una plusvalenza (o minusvalenza).

Il punto è che, in assenza di listini ufficiali e in presenza di quotazioni che possono essere significativamente divergenti a seconda delle varie piattaforme (con alcuni che vivono di arbitraggio), la determinazione della base di calcolo si presta ad essere interrogato troppo facilmente. Pertanto, il rischio di essere soggetti a verifiche e controlli pur avendo adempiuto agli obblighi di comunicazione è tutt'altro che trascurabile.

Concorrenza fiscale nel mondo delle criptovalute

Ora, dato che l'aliquota del 26% non è proprio economica, e viste tutte le ulteriori complicazioni possibili, è facile prevedere che soprattutto chi si ritrova ad aver accumulato ricchezza in crypto asset di qualsiasi genere (quindi non solo criptovalute a due vie , ma anche NFTs, ovvero token di vario genere e con varie funzioni), il cui controvalore oggi è di notevole entità, potrebbero trovare molto più conveniente spostare la propria residenza fiscale in Paesi dove la tassazione sui crypto asset è più chiaro e meno aggressivo. Non è necessario finire a Dubai per quello. La Svizzera e il Portogallo sono proprio dietro l'angolo e molto più cripto-amichevoli.

Inoltre, Legge di bilancio, al comma 133, offre la possibilità di determinare le plusvalenze in modo alternativo al costo o al valore di acquisto, utilizzando il criterio previsto dall'art. 9 del TUIR, che in sintesi è quello che la norma definisce il loro “valore normale”. Tale opzione può essere esercitata solo a condizione che sia versata un'imposta sostitutiva del 14%.

Occorre ora ricordare che per un contribuente ordinario comprendere come debba essere determinato il valore normale secondo il criterio disciplinato dall'art. 9 (e quindi comprendere l'effettiva convenienza di ricorrere a questo criterio di quantificazione) può essere fonte di grattacapi che solo l'aiuto di un buon esperto contabile (oltre al ricorso ad una buona dose di aspirina) potrebbe alleviare.

Un'altra questione: con la nuova legge, i cripto-asset sono soggetti a obblighi di monitoraggio, ovvero la loro dichiarazione nel modulo RW. Tuttavia, per come è scritta la regola, non viene sciolto un nodo di importanza cruciale. Vale a dire, se questo obbligo scatta indiscriminatamente o solo quando le cripto-attività possono concretamente qualificarsi come attività estere.

Vale la pena ricordare, infatti, che la stessa Agenzia delle Entrate, in risposta a un'interpellanza pochi mesi prima dell'approvazione della legge, ha affermato il principio secondo cui se le criptovalute sono detenute all'interno di un wallet custodiale presso un exchange piattaforma di diritto italiano, non vi è alcun obbligo di dichiarazione, presupponendo che le chiavi private dei wallet in cui sono allocate le criptovalute siano detenute in Italia.

Ciò rischia di aprire le porte a possibili contenziosi sugli obblighi dichiarativi, anche perché, non dimentichiamolo, dal 2022 tutte le borse, per operare in Italia, sono di fatto, per espressa disposizione di legge e relative disposizioni regolamentari, ai sensi della legge italiana, in quanto possono operare solo creando almeno una stabile organizzazione o un veicolo societario in Italia e ottenendo l'iscrizione all'albo OAM.

La questione è di particolare rilevanza anche perché nella nuova legge sono inserite specifiche disposizioni, il cui fine ultimo è quello di indurre l'emersione di asset crypto-asset già detenuti dai contribuenti italiani, attraverso una sorta di sanatoria sulla mancata dichiarazione per il passato , il cui ammontare varia a seconda che siano state realizzate o meno plusvalenze.

Nel caso in cui non sia stato realizzato alcun reddito, per ogni anno di detenzione di cripto-asset non dichiarati, lo 0.5% del loro controvalore; in caso di realizzo, invece, dovrà essere corrisposto un 3.5% sul valore dei beni detenuti (sempre per ogni anno di detenzione) più un ulteriore 0.5% a titolo di penali ed interessi. 

Pertanto, in questo caso, l'amnistia è disgiunta dall'importo effettivo delle plusvalenze.

Tassazione crypto: poca chiarezza anche sulle misure antiriciclaggio

Ora, a parte la difficoltà di stabilire oggettivamente e incontrovertibilmente l'entità del controvalore, il fatto che non sia chiaro se e quando la detenzione di cryptoasset debba essere dichiarata nel modulo RW fa ritenere che sarà anche molto condizionare la scelta se accedere o meno a questa forma di sanatoria.

Un altro capitolo su cui è prevedibile che non manchino dubbi e occasioni di contenzioso è dato dalla disposizione (comma 142) che prevede che questo tipo di, diciamo così, “regolarizzazione” abbia effetti solo sul reddito e sul disapplicazione delle sanzioni, ma resta ferma sulla “dimostrazione della liceità della provenienza delle somme investite”.

Come si possa fornire una tale dimostrazione, tuttavia, è tutto da capire.

Infatti, uno dei problemi di questa legge, anche alla luce di questa specifica previsione, è che manca di raccordo con le disposizioni antiriciclaggio attualmente in vigore, e tutto è da capire come potrà collegare con il quadro normativo che potrà essere significativamente implementato nel corso del 2023 a seguito di importanti normative europee in corso di adozione, dal Regolamento Trasferimenti Fondi alla nuova Direttiva Antiriciclaggio.

In estrema sintesi, il rischio è che i contribuenti italiani, dopo aver pagato ingenti tasse, si ritrovino con una serie di beni di cui potrebbero non poter godere a causa di forti restrizioni in ambito antiriciclaggio.

Sarebbe stato ragionevole, di grande beneficio, e di forte incentivo all'emersione, se il legislatore avesse previsto una sorta di “salvacondotto” antiriciclaggio per cui, assolti gli obblighi tributari, una forma di presunzione sul scatterebbe la legittima provenienza dei beni, anche ai fini della loro bancabilità.

La possibilità di migliorare le disposizioni di legge c'è sempre, ma intanto altri Paesi si candidano al ruolo di hub e creano condizioni favorevoli per attrarre iniziative economiche e finanziarie, capitali e nomadi digitali.

Speriamo che la nuova legge possa essere il primo passo per costruire un sistema ricettivo nei confronti delle imprese innovative, e non resti semplicemente un modo fine a se stesso per raschiare il fondo del barile spremendo qualche entrata aggiuntiva per le casse dell'erario.

Fonte: https://en.cryptonomist.ch/2023/01/03/crypto-taxation-the-new-budget-law/