Fallimenti nel mondo delle criptovalute

Dopo il caso FTX, il mondo crypto viene scosso a distanza ravvicinata da altri eventi traumatici: prima il fallimento di Celsius, e pochi giorni dopo il caso della piattaforma BlockFi, che ha presentato istanza di Capitolo 11 procedimento (vale a dire, un'amministrazione controllata). E le cattive notizie non finiscono qui: nell'ambiente circolano insistentemente voci che anche la piattaforma Genesis sia in crisi e prossima anche al fallimento.

Si parla di un effetto domino. E infatti, nel caso di Centigrado ed BlockFi, sembra confermato che i collegamenti ci siano: secondo quanto emerso, entrambe le piattaforme avevano in essere una serie di rapporti debitori e creditizi con vari soggetti della galassia FTX.

Ora, questa catena di eventi ha indubbiamente un impatto drammatico su un intero ecosistema (quello del mondo crypto) che vive e prospera di un ingrediente fondamentale: la fiducia.

D'altra parte, l'emotività è un segno distintivo del mercato delle cripto-asset, che reagisce a volte violentemente a voci, notizie e segnali, con punte a volte spropositate di pessimismo o euforia.

Le interconnessioni tra i fallimenti del mercato delle criptovalute

Nel caso della Crisi FTX, tuttavia, i mercati hanno tenuto e, a conti fatti, continuano a tenere, nonostante le notizie allarmanti sui casi Celsius e BlockFi.

D'altra parte, è abbastanza evidente che le origini di tutte queste crisi hanno poco a che fare con la natura intrinseca delle criptovalute, il fatto che potrebbero non essere ancorate ai sottostanti o che hanno una volatilità intrinseca.

In particolare, è ancora più evidente che queste crisi non hanno nulla a che vedere con la natura decentralizzata degli asset crittografici: le tre piattaforme finite in stato di insolvenza, infatti, sono exchange che di decentralizzato non hanno nulla, a parte il beni che detenevano e scambiavano.

Erano intermediari, e quindi soggetti centralizzati, che si rivolgevano a risparmiatori e investitori, per lo più non professionisti, per ricevere fondi in trust da convertire in crypto asset, a pagamento, e se necessario riconvertirli e restituirli secondo le preferenze degli utenti richieste.

Pertanto, il nocciolo della questione non è che queste entità commerciassero per conto degli utenti in risorse crittografiche invece di altri tipi di risorse, ad esempio, più sicure.

Il problema centrale, molto più banale, è che questi enti hanno abusato in maniera non vigilata dei fondi e dei beni loro affidati. Li hanno usati per investimenti imprudenti, o per operazioni estremamente discutibili, prestandoli a vicenda, sono ricorsi ad architetture societarie volte ad eludere il fisco e le pretese dei creditori, ma in ogni caso, e qualunque sia la natura di queste operazioni, li hanno eseguiti impiegando denaro e beni degli utenti. Non semplicemente il frutto dei loro margini di profitto sulle attività svolte per conto dei clienti.

In un articolo su Milano Finanza del 15 novembre, Davide Zanichelli, figura esperta e autorevole di crypto e blockchain (non a caso nella passata legislatura, da deputato M5S, ha creato e coordinato l'intergruppo parlamentare su criptovalute e blockchain ed è stato firmatario di un disegno di legge sulla disciplina fiscale delle criptovalute ), ha fatto una disamina completa e molte riflessioni condivisibili in merito.

La discutibilità delle entità centralizzate

Nell'articolo, Zanichelli sottolinea come esso sia originato a un livello che non tocca le caratteristiche di decentramento e trustless proprie della blockchain, ma il ruolo e la qualificazione di intermediari custodi, di fatto centralizzati, a cui un'ampia platea di utenti giro.

Sul tema, molto interessanti appaiono anche le riflessioni di Lorenzo Savastano, ufficiale della Guardia di Finanza, sempre molto attivo con pubblicazioni autorevoli in materia di crypto, blockchain e antiriciclaggio, che si possono trovare sul web [ https://www.linkedin.com/in/lorenzosavastano/ ], che in un suo post su LinkedIn fa un'attenta ricostruzione dell'arcipelago FTX.

Nella sua ricostruzione, Savastano evidenzia il ruolo dell'estrema parcellizzazione della costellazione FTX, l'ubicazione di molte filiali in giurisdizioni fiscalmente privilegiate e l'opacità nelle politiche fiscali del gruppo, e il fatto che, grazie alla complessa ramificazione di questo impero, è quasi impossibile capire dove alla fine FTX abbia pagato le tasse.

In pratica, evidenzia il fatto che la crisi di FTX è riconducibile a fattori off-chain, legati principalmente alle architetture aziendali utilizzate e ai rapporti infragruppo tra le varie entità, tutt'altro che chiari.

Ci sono molte voci che convergono su un punto: e cioè che disastri come quelli di FTX non hanno nulla a che fare con la questione specifica dell'uso della crittografia e delle tecnologie decentralizzate alla base della blockchain.

C'è stata però una voce fuori dal coro, e del resto di spicco: l'opinione nettamente contraria espressa da Paolo Savona, intervenuto anche nel dibattito sul caso FTX, attraverso le pagine di Milano Finanza.

Questa posizione, da un lato esprime tutto il peso della carica di presidente della Consob, e dall'altro risente del fatto che chi la ricopre è noto per essere un oppositore storico delle criptovalute.

Nel suo intervento, Savona, muovendo dalla vicenda FTX, punta il dito proprio sul decentramento, che individua come fattore critico, e sostiene che, a suo avviso, la tecnologia basata sulle DLT consente di escludere gli intermediari bancari e finanziari dalla certificazione delle l'esistenza di attività e passività e dei loro trasferimenti, e quindi impedirebbe ogni forma di controllo da parte delle autorità di vigilanza. Infatti, secondo Savona, queste autorità “sanno poco di queste tecnologie o non hanno organizzazioni adeguate per farle funzionare”.

Poi si lamenta che anche se cryptocurrencies svolgere una funzione sostanzialmente monetaria, dovuta a:

“benevola attenzione o (come anche affermato) disattenzione per gli sviluppi monetari e finanziari in atto nell'infosfera. Ha permesso a questo nuovo mercato di espandersi e ibridare il tradizionale mercato degli asset”.

Un po' come dire che il virus della criptofinanza incontrollabile rischia di infettare il sano mondo della finanza convenzionale.

Qual è il ruolo della regolazione nella salvaguardia dell'ecosistema?

La soluzione per arginare la minaccia di contagio starebbe nell'intervento delle autorità monetarie e fiscali, sperando che gli Stati in questa prospettiva non agiscano ciascuno per conto proprio.

Francamente, questa analisi, con buona pace dell'autorevole fonte da cui proviene, solleva diverse perplessità.

In primo luogo, l'analisi del presidente Consob sembra prescindere completamente dal merito delle cause che hanno dato origine al crollo di FTX (e oggi anche di Celsius e BlockFi). Cause che, come ormai è chiaro, non hanno nulla a che fare con il decentramento e la tecnologia del registro distribuito. Al contrario, è chiaro che i crolli di cui stiamo parlando sono stati causati da condotte finanziarie e investimenti sconsiderati.

Una seconda considerazione, è che il caso Lehman Brothers (citato dallo stesso Savona nel suo editoriale di MF) e la crisi dei subprime sono avvenuti proprio nel mondo della finanza convenzionale.

Quindi, nonostante gli audit statali e federali, le società di revisione e l'intero circo di mercanteggiamenti intorno ad esso, non sembra che le autorità di regolamentazione e le autorità di vigilanza siano state in grado di fare qualcosa di tangibile per evitare quel disastro.

Per correttezza si evita di ripercorrere analiticamente l'intero bollettino di guerra delle società di credito italiane (da Montepaschi, a Banca Etruria, ecc.) che sono finite in malora con i risparmi di utenti incolpevoli. Tuttavia, non si può fare a meno di chiedersi: tutto l'apparato di vigilanza e controllo, tutto il sistema di regole in materia di qualificazione e onorabilità professionale, trasparenza e correttezza creditizia, cosa ha potuto concretamente fare per evitare che si verificassero tutte queste fattispecie?

Ora, è chiaro che il problema sta proprio nell'accentramento e in particolare nell'effettiva verifica dei presupposti su cui dovrebbe fondarsi l'affidamento che implica il ruolo di intermediario abilitato. 

Un sistema di verifica che, con tutta evidenza, è inesistente quando si parla di piattaforme di scambio di asset crittografici ma che, d'altronde, nella storia recente ha più volte mostrato la sua inadeguatezza anche quando si parla di intermediari bancari e finanziari. 

A questo problema potrebbe forse dare una prima risposta il Regolamento MiCA europeo, che di fatto impone agli operatori del servizio in alcune tipologie di asset crittografici il possesso di requisiti minimi per l'accesso al mercato e una serie di obblighi di condotta.

Tuttavia, non è possibile prevedere quanto sarà efficace questo corpus legislativo nel prevenire eventi come FTX o BlockFi. 

Da questi avvenimenti si può certamente trarre una lezione: ovvero che occorre spostare il fulcro dell'azione regolamentare e di vigilanza, dal tema del decentramento a quello della qualificazione professionale, finanziaria, patrimoniale e tecnologica degli operatori e anche al campo della governance controlli e supervisione.

Una lezione che i vertici della Consob sembrano non aver ancora imparato.

Fonte: https://en.cryptonomist.ch/2022/12/02/failures-crypto-world/